Accabadora è un romanzo scritto da Michela Murgia e pubblicato nel maggio 2009 per la casa editrice italiana Einaudi. Il romanzo è stato tradotto in numerose lingue straniere.All’ ombra di un legame scorre una storia i cui personaggi, figurine fragili e forti, si muovono nella landa inospitale di un cuore dai muti colloqui.Una famiglia claustrofobica come una stanza privata dal soleviene disegnata dalla penna della bravissima scrittrice che si muove non in termini manichei, ma ogni volta assurge e rende agli occhi del lettore i punti di vista da parte di chi emette il giudizio o lo subisce. Un rituale arcaico del microcosmo famigliare in cui l’autrice si muove in luoghi appositi e riservati ,dove fa emergere l’atteggiamento di chi sta solo a guardare. Poi, diventa uno strumento che racconta e definisce nel desiderio estremo verso la verità vestita a rituali per diritto di vita e di morte."Perché Maria sia finita a vivere in casa di Bonaria Urrai è un mistero che a Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno. Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come "l’ultima". Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. "Tutt’a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fill’e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia." Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell’accabadora, l’ultima madre."Michela Murgia, con geniale intuizione, racconta la Sardegna degli anni Cinquanta con una lingua scabra e poetica insieme che assorbe in sé ogni elemento di realtà turbata da vite incolori arrivate allo stremo che non perdono mai dignità. Ha vinto, più che meritatamente, il Premio Campiello Letteratura nel 2010. Libro da leggere perché chiarisce simmetrie disgiunte e frammentate dell’essere umano. In un’ottica oltre ogni tempo, oltre ogni facile giudizio.
Data 29 Gennaio 2019Vedi articolo su Facebook